I percorsi disparati verso la vetta di Klopp e Ancelotti

Subashi

Caricature di Jürgen Klopp e Carlo Ancelotti. / Joaquín AldeguerFinale

Il carismatico stratega tedesco e il veterano allenatore italiano condividono la stessa passione, ma le loro strade sono molto diverse

Oscar BellotIl 24 maggio 1992 un centrocampista di straordinaria qualità appese le scarpe al chiodo, ma un calvario di infortuni lo costrinse a reinventarsi fino a diventare uno dei pilastri del grande Milan di Arrigo Sacchi. Più o meno nello stesso periodo, un attaccante allampanato trasformato in terzino destro stava chiudendo la sua seconda stagione al Mainz, squadra a cui avrebbe dedicato gran parte di una discreta carriera che, tuttavia, sarebbe servita a diventare l’idolo di un pubblico che lo ammirava dedizione. Jürgen Klopp aveva solo talento come calciatore, ma aveva una mente privilegiata. Carlo Ancelotti ha accoppiato classe e testa in campo come pochi. Sabato, a Parigi, si sfideranno per l’undicesima volta dalle panchine opposte, con un’intera finale di Champions a fare da cornice maestosa. La sua presenza alla guida di Real Madrid e Liverpool in uno scenario del genere dimostra ancora una volta che è possibile scalare la vetta da percorsi molto diversi. Quando Ancelotti ha scelto di accettare l’offerta del maestro Sacchi di trasferirsi nello staff tecnico della Nazionale, il reggiano ha lasciato alle spalle un viaggio folgorante da calciatore d’élite che è germogliato nelle file del Parma, ha fatto un grande salto con il suo tempo alla Roma e ha raggiunto l’apogeo in rappresentanza di Milano. Da ‘giallorossi’ ha vinto uno ‘scudetto’ e ha alzato quattro Coppe Italia. Un record di successi a cui stava per aggiungere la Coppa dei Campioni del 1984. L’ambientazione era imbattibile per la squadra guidata dallo svedese Nils Liedholm in una finale disputata alle Olimpiadi di Roma. Ma davanti a loro c’era un temibile avversario: il Liverpool di Kenny Dalglish, Graeme Souness, Ian Rush e Bruce Grobbelaar. I gol di Phil Neal, per gli inglesi, e Roberto Pruzzo, per il muro transalpino, hanno pareggiato un match che i ‘rossi’ hanno deciso a loro favore ai calci di rigore. Ancelotti, il cervello della Roma, ha assistito a quel duello dall’ospedale. Il giorno dopo è andato sotto i ferri per sottoporsi a un intervento chirurgico per il suo secondo grave infortunio al ginocchio in tre anni. Quel preoccupante record non fu un ostacolo per Silvio Berlusconi alla cattura di Carletto nel 1987. L’obiettivo era rafforzare la sala macchine di un Milan che avrebbe cambiato il paradigma del calcio basato sul copione di Sacchi e sull’enorme talento di Maldini, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Gullit, Van Basten e compagnia. Da “rossonero” Ancelotti si sarebbe assicurato due “scudetti”, una Supercoppa Italiana, due Supercoppe Europee, due Coppe Intercontinentali e due Coppe dei Campioni. Vittima di quel terremoto è stato il Real Madrid della Quinta del Buitre, uscito ustionato dalla trasferta di San Siro nel ritorno della semifinale: i padroni di casa hanno vinto 5-0. Ancelotti apre il conto al 17′.
Carriere dei formatori FONTE: Elaborazione propria ILLUSTRAZIONI: JOAQUÍN ALDEGUERGRAPHIC: R. PARRADOTraiettoria degli allenatoriILLUSTRAZIONI: JOAQUÍN ALDEGUERGRAFIA: R. PARRADOSOURCE: Elaborazione propria.Le carriere degli allenatori FONTE: Elaborazione propria ILLUSTRAZIONI: JOAQUÍN ALDEGUERG GRAFICO: R. PARRADO Venticinque anni dopo quella notte di sfortunati ricordi per il Real Madrid, Ancelotti ha riparato il danno supervisionando l’assalto al ‘decimo’ di Lisbona. Era la sua terza ‘orejona’ da allenatore, dopo averne siglate due alla guida del Milan: la prima, battendo la Juventus nel 2003 ai calci di rigore che risolse il duello decisivo tenutosi all’Old Trafford; il secondo, battendo il Liverpool ad Atene nel 2007 per vendicare il “miracolo di Istanbul”. I gol di Sergio Ramos, Bale, Marcelo e Cristiano Ronaldo contro l’Atlético mettono Carletto alla pari con Bob Paisley. Anni dopo, Zinedine Zidane sarebbe entrata a far parte del club degli allenatori tre volte campioni.

rompere gli stampi

Quella carriera trionfante in pantaloncini corti contrasta con il modesto viaggio di Klopp. Il tedesco ha sprecato sacrificio, ma la sua qualità era discreta. Il Mainz gli ha offerto l’opportunità di crescere come giocatore, ma il club renano ha lottato tra le giovanili e il vivace giocatore che si era unito ai loro ranghi nel 1990 non è mai stato in grado di fare il salto in Bundesliga. Conosceva a memoria tutti i dettagli dell’entità e nel febbraio 2001, poco dopo il suo ritiro, gli fu offerto il posto di allenatore. Mainz si è capovolto nella seconda categoria del calcio tedesco. Senza precedenti esperienze in panchina, Klopp pareggia la permanenza e, tre stagioni dopo, la eleva in Bundesliga. Klopp ha trascorso sette stagioni alla guida del Mainz, fino a quando il Borussia Dortmund ha bussato alla sua porta nel 2008. Lì ha iniziato a ritagliarsi la sua leggenda. Due Bundesliga, due Supercoppe tedesche e una Coppa nazionale sono state il risultato del suo tempo con la squadra di auriamarillo, che ha catapultato alla finale di Champions League 2013. Il Bayern lo ha lasciato con il miele sulle labbra. Sei anni dopo, e dopo aver ceduto l’anno precedente contro il Real Madrid in un altro duello accanto all’orejona, Klopp si è liberato dello stigma che lo seguiva portando il Liverpool al trono continentale dopo aver battuto il Tottenham al Metropolitan. Adesso quello di Stoccarda insegue la sua seconda Champions League contro lo stesso rivale che gli ha fatto vincere la partita a kiev nel 2018. Al posto del fiore di Zidane, questa volta dovrà lottare contro il sopracciglio di Ancelotti.

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